domenica 1 giugno 2014

Silvano Fedi - Medaglia al valore alla memoria



Le straordinarie circostanze che negli anni 38' - 39' nel pieno del fascismo trionfante portarono un gruppo di studenti liceali pistoiesi, ispirati dal giovanissimo, ma già brillante, libero, trascinante Silvano Fedi, a organizzare un piccolo nucleo antifascista che, nonostante il disprezzo, l'emarginazione, le bòtte e la galera, resisterà imperterrito fino ad evolvere, cinque anni dopo, nella resistenza armata contro i nazi-fascisti.
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  RICORDO DI SILVANO FEDI - di Emiliano Panconesi
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 Il liceo intitolato al nome del cardinale Nicolò Forteguerri, è al centro dell'establishment borghese giovanile di una "città del silenzio", Pistoia, e non presenta alcuna caratteristica che lasci prevedere la nascita di questo strano frutto. Propaganda e retorica permeano il pensiero e le parole di studenti e insegnanti: questi ultimi, in maggioranza esaltano e invitano a esaltare i successi del regime fascista. Alcuni accettano rassegnati, altri si limitano con prudenza a ironizzare sottovoce.

Un professore di storia e filosofia approfitta di qualche lezione di economia politica per parlarci commosso della libertà come di un dono irrinunciabile: viene avvisato di fare attenzione. C'è uno studente in classe che fa la spia alla locale federazione dei fasci. Gli studenti sono in buona parte pigramente adattati mentre alcuni sono attivamente "giovani fascisti". è in questo clima che il gruppetto diventa antifascista.

Ciò avviene sulla base di qualche lettura ma soprattutto per una spontanea riflessione filosofica e politica sulla ingiustizia della dittatura, sulla mancanza di libertà di parola, sulla propaganda verso la guerra, verso il vitalismo eroico , sul ridicolo della mascherata patriottica, sull'isolamento culturale dell'Italia del resto del mondo.

Il ragionamento base di questo gruppo, che ha in prima linea Silvano Fedi, è di tipo illuminista. Lungi da proporre di sostituire semplicemente con un'altra dottrina applicata e operante nel mondo la cosiddetta "dottrina fascista", si riesamina con logica serrata e appassionata le conseguenze di alcuni postulati essenziale quali la libertà dell'uomo la sua parità di diritti, l'odio verso la guerra, la violenza, la sopraffazione in genere, l'ingiustizia profonda delle differenze sociali.

Conseguenza di questa analisi che potremmo dire "scientifica" e che, fra meditazioni e dibattiti, supera le dottrine note e presupposte è il desiderio e l'impegno che questi "ragazzi" assumono di voler spazzare via tutti i pregiudizi e le ideologie per ricostituire pragmaticamente su una tabula rasa ideologica, alcune fondamentali prospettive indicando alcune irrinunciabili esigenze.

Questi giovani non creano ovviamente una nuova teoria politica ma arrivano coi loro mezzi di pensiero e per la loro strada, volendo fermamente insieme la giustizia e la libertà, a teorie libertarie anche se questa definizione è all'inizio solo intravista.
Silvano, pur giovanissimo, è fra i più attivi e spinge al proselitismo: si tratta di convincere, si tratta di cercare altri che pensano alle stesse cose, che odiano la dittatura, che vogliono cambiare le cose. Con cautela ma con coraggio si avvicinano coloro che da qualche minimo segno (una battuta ironica a scuola) fanno capire o presumere una loro posizione critica di fronte al regime. Silvano spinge alla propaganda, che avviene in condizioni difficili guardandosi dagli agenti provocatori e dalle spie presenti in qualunque ambiente: basta poco per essere denunciati ai fascisti e alle conniventi forze di polizia.

Si fanno riunioni segrete, vive di appassionati discussioni, si passano libri "proibiti", si preparano manifestini, anche una radiotrasmittente sta per essere attrezzata. I proseliti sono rari, si interpellano vecchi antifascisti, si contattano alcuni operai, alcuni intellettuali, si cerca di infondere una speranza in una situazione che la maggioranza, anche dei vecchi antifascisti, giudica almeno per il momento immutabile. il rischio è grande: in una palude increspata da un'onda di dissenso, il fremito è presto segnalato.

E non mancano le spie: alcuni giovani contattati perché dimostratisi "disponibili" , che avevano dichiarato la loro volontà di lottare contro il fascismo, che avevano partecipato a occasioni comuni di vita (con le relative discussioni dei diciottenni!) denunciano il "complotto" alla polizia. Le dittature sono un ottimo terreno di coltura per individui di tipo.

Silvano e un altro giovane (Giovanni La Loggia), il 12 ottobre 1939, vengono arrestati per ordine di un ispettore generale di Pubblica Sicurezza che denuncia, nel suo rapporto al capo della polizia a Roma, "l'esistenza in Pistoia di un gruppo di studenti delle scuole medie superiore e Università i quali svolgevano segreta attività di propaganda per trovare proseliti alle loro idee sulla necessità di un internazionalismo politico e di una modifica del regime per poter giungere alla libertà di opinione e di pensieri di cui il fascismo secondo essi ha privato il popolo italiano..." Le dichiarazioni di Silvano ci giungono dagli stessi archivi della questura "ho parlato di morale, di religione, di politica e dell'attuale sistema in cui si trova il popolo italiano in Regime Fascista, privo di libertà". E ancora: "abbiamo pensato che era necessaria una trasformazione in senso liberale, nel senso cioè che al popolo italiano è necessario dare una coscienza politica che non ha mai avuto e restituirgli la libertà di pensiero e di discussione. Per arrivare a tale trasformazione era necessario che le persone più intelligenti educassero il popolo italiano attraverso una propaganda efficace fino a raggiungere quella trasformazione stessa pacificamente e senza violenza..." Da notare che la spia principale, studente e coetaneo, viene chiamato nei verbali "fiduciario di questo ufficio" e si sottolinea da parte degli arrestati la sua parte di agente provocatore allorché in quelle "segrete" conversazioni era lui a sollecitare una azione violenta!

Del gruppo di giovani antifascisti (una decina in tutto) quattro vengono arrestati e inviati al Tribunale Speciale che, per l'abilità di un avvocato fascista, capace di convincere i giudici che si tratta di una "ragazzata", li condanna a un solo anno di carcere. Il liceo, l'ambiente pistoiese è scosso dall'episodi. Alcuni di noi sono spinti a riflettere, altri a criticare l'operato dei compagni arrestati. Silvano ritorna dal carcere più pallido e più deciso.

Ricomincia immediatamente la cospirazione politica. Una sera nel corso della città vicino al teatro Manzoni mentre cammina da solo viene aggredito e percosso da tre-quattro giovani, fra i quali riconoscere due delle spie. Riesce a difendersi alla meglio a piazzare qualche pugno. Finalmente dopo averlo ben pestato, fuggono. Gli stessi andranno in questura a denunciarlo come provocatore: i poliziotti lo arrestano per qualche ora, poi lo rilasciano invitandolo a un migliore comportamento. Piccoli episodi di intolleranza provinciale, che possono far capire un ambiente, un'epoca; e che ci convincono sempre di più a lottare per un cambiamento.

Silvano esercita in quel periodo un grande ascendete su di noi: è maturato in fretta ed è la più forte personalità del gruppo: è estroso, spesso paradossale, fuori del convenzionale, pieno di immaginazione. Nello stesso tempo pieno di vita, brillante, "gaudente" (come lo chiamerà Sergio Bardelli in un suo bellissimo racconto, La lunga estate). Indimenticabile il suo modo di parlare fra indolente e provocatorio. Indimenticabile la sua libertà di giudizio nel respingere i luoghi comuni, nel criticare con acume gli aspetti negativi di alcune ideologie (cattolica, liberale, comunista) o nel riferire di un libro o di un articolo.

Lettore accanito, discuteva con noi di quei libri "clandestini" che ci passavamo: Il tallone di ferro di Jack London, Le menzogne convenzionali della nostra civiltà di Max Nordau e naturalmente Tolstoi, Mazzini, Kant, Marx, Bakunin, Kropotkin. Lui (e noi con lui) ripartiamo da zero: con la bussola della ragione ci liberiamo di tanta cultura scolastica convenzionale e riusciamo a precisare a noi stessi cosa dovrebbe essere la cosa pubblica. Giustizia sociale e libertà politica non dovranno essere scissi nemmeno temporaneamente: nessuna rinunzia dell'una a scapito dell'altra.

Non è un utopia. E' una necessità e un obbligo morale. I vecchi amici anarchici coi quali discutiamo sorridono della nostra "scoperta", che è loro antica convinzione. La guerra ormai incombe. Il malessere, la paura, le ingiustizie condotte verso popoli fratelli(i greci, i francesi ecc...), il sangue inutilmente versato da tanti giovani, fanno riflettere ora tanta gente. L'antifascismo prende quota.

Anche la nostra propaganda diviene più facile. Si stabiliscono contatti coi vecchi antifascisti, con gli operai delle Officine S. Giorgio, coi comunisti della SMI di Campotizzoro. Quasi tutti noi restiamo collegati. Silvano è il più attivo di tutti e il più sicuro che ormai siamo vicini all'azione. In quell'inizio studentesco e in questa sua costante coerente continuità è la sua forza. Il 25 luglio per le batoste militari, che ormai terrorizzano anche i suoi seguaci, e per "decreto reale" cade Mussolini.

L'antifascismo e gran parte della popolazione sente che comincia a soffiare un vento di libertà, scende nelle piazze e chiede che non sia caduto soltanto il cav. Benito Mussolini(come dice l'ipocrita messaggio della monarchia, la casta militare, il privilegio, lo stato poliziesco; chiediamo che torni la libertà, che si cacci, uniti agli Alleati, i tedeschi e che si fondi, con libere elezioni una repubblica democratica.

Silvano in prima fila - il mattino del 26 luglio - corre dove la sua concreta visione politica gli suggerisce e cioè al più grosso complesso industriale pistoiese, le officine S.Giorgio. Si presenta agli operai e li spinge al primo sciopero della nostra città, "Il paese dovrà essere vostro e di tutti i cittadini" - grida fra gli applausi - "voi e noi dovremo orientare la futura politica italiana."

Viene arrestato dalla polizia badogliana, ancora una volta malgrado la nuova situazione politica, ma viene liberato poche ore dopo a furor di popolo. Una folla minacciosa ha circondato la questura, dove è trattenuto, chiedendo a gran voce la sua liberazione, e non si è allontanata fino a che Silvano non è uscito sorridente, per ricominciare la sua frenetica attività.

Con il settembre del '43 la situazione muta ancora e magicamente. L'impossibile alleanza italo-tedesca viene denunciata, ma non si è predisposta una difesa alla prevedibile reazione nazista. La monarchia fugge lasciando il paese e il suo esercito senza ordini precisi. Malgrado qualche breve eroico tentativo di resistenza, si precipita nelle mani dell'esercito tedesco.

La parte migliore del paese comincia a organizzarsi per opporsi, con la guerriglia e con tutti i poveri mezzi messi a disposizione, all'esercito nazista occupante e ai fascisti risorti assai più feroci di prima. E una impresa che sembra impossibile e gli italiani che la tentano si chiamano in quel momento con un bellissimo nome: ribelli. Ribelli all'oppressione, all'ingiustizia, al militarismo, alla guerra, al privilegio, ribelli armati solo di coraggio e di ragione.

Il vecchio gruppo antifascista studentesco rimane insieme solo in un primo momento poi, pur mantenendo stretti contatti, i vari elementi del gruppo sviluppano la loro azione in zone diverse, trovano nuovi, numerosi compagni, formano nuovi gruppi "di resistenza": sono le nascenti formazioni partigiane che nascono cosi come altrove da altri nuclei comunisti di giustizia e libertà(il partito d'azione), cattolici ecc...

Silvano organizza la più importante formazione partigiana pistoiese (il primo nome è "squadre franche libertarie") adunando intorno a sé contadini, operai, studenti, ex soldati sbandati. Ha un preciso concetto della guerriglia, che è alle sue prime esperienze: colpire il nemico, un forte esercito, organizzato perfettamente, con rapide azioni di sorpresa, sorprenderlo, far credere a forze più vaste, rendere difficili i suoi movimenti, sfuggendo a inutili impossibili confronti in campo aperto.

Il 17,il 18, il 20 ottobre tre azioni consecutive audacissime, vengono condotte alla Fortezza (un vecchio noto edificio pistoiese in Piazza della Resistenza, allora Piazza d'Armi) che è presidiata dai paracadutisti. Vengono catturate armi e munizioni. Tale approvvigionamento da inizio all'attività della "banda" (come chiameranno i tedeschi) una delle poche, che sarà conosciuta e temuta da tutti. Un altro attacco alla Fortezza verrà compiuto molto tempo dopo (il primo giugno del '44) malgrado che intanto il Comando tedesco abbia messo una taglia (50.000 lire, tante per quei giorni!) a seguito di uno scontro a fuoco a Valdibrana (vi hanno partecipato Silvano e Artese Benesperi) nel quale un ufficiale tedesco ha perso la vita. Silvano e altri due partigiani, dopo aver catturato il corpo di guardia, penetrano nella cinta della fortezza, sorprendono la guarnigione (ventidue soldati), la disarmano senza colpo ferire, prelevano viveri, vestiario, armi (30 moschetti, 20 mitragliatori, 2 mitragliatrice), che vengono trasportati in un magazzino adoperando -in pieno periodo d'occupazione- un camion e un vecchio carro agricolo. Particolare curioso: la compagnia catturata, inquadrata esce agli ordini di Silvano e incontra una compagnia tedesca sul viale dell'Arcadia: i prigionieri non fiatano, i tedeschi si limitano a salutare i presunti alleati, guidati dai partigiani. Cominciava ad albeggiare - riferirà la relazione - quando si lasciò la Fortezza con tutti i locali dati alle fiamme, che bruciarono poi per l'intera giornata. Alcuni dei soldati italiani della guarnigione diserteranno per unirsi alle formazioni partigiane.

Una delle ultime rocambolesche azioni: le carceri di Pistoia dalla città (S. Caterina in Brana) erano state trasferite, per evitare i bombardamenti aerei, nella vicina campagna e precisamente in un edificio del vecchio Ospedale psichiatrico delle ville Sbertoli, a Collegigliato. Silvano, e i suoi compagni, sanno che la maggioranza dei detenuti sono politici, Due di loro appartenevano alla mia formazione e erano caduti in un'imboscata, a Iano sulla montagna, preparata da fascisti travestiti da partigiani.

In piena occupazione nazista viene compiuta un'azione che appare incredibile. Silvano riesce a convincere (denaro, viveri, promessa di impunità) un giovane fascista (tale Licio Gelli, noto anche alla guarnigione delle carceri come ufficiale di collegamento fra truppe fasciste e truppe tedesche) a unirsi a lui: gli serve per uno stratagemma che ha ideato. Alle dieci del 26 giugno una macchina militare guidata dall'ufficiale fascista con Enzo Capecchi, luogotenente di Silvano, a bordo si presenta alle carceri. Enzo (senza documenti che lo possano comprovare) si presenta al corpo di guardia come ufficiale della polizia fascista e annunzia la consegna nel pomeriggio di partigiani catturati, compresi due capi famigerati. Chiede ed ottiene di effettuare una ispezione nei locali del carcere e in tal modo si rende conto della loro ubicazione. Esce senza aver fatto sorgere alcun sospetto.

Ritorna alle due del pomeriggio con altri quattro armati conducendo i due attesi noti capi partigiani ammanettati: sono Silvano e Artese. Enzo ordina che tutta la forza (anche quella dell'esterno) sia radunata nel cortile per effettuare la consegna dei due banditi. Sulla guarnigione schierata vengono puntate le armi mentre i due presunti prigionieri si liberano delle manette e insieme agli altri immobilizzano le guardie che vengono chiuse nelle celle. I prigionieri (54 detenuti per lo più politici, comprese tre donne e due ebrei arrestati per motivi razziali) vengono liberati e fuggono nella campagna vicina.

I capi della formazione, Silvano stesso, hanno saputo che alcune voci, diffamatorie nei loro riguardi, circolano fra i contadini della pianura. La banda avrebbe compiuto dei prelevamenti ingiustificati, delle razzie in alcuni case: soldi, vestiario, viveri (allora scarsissimi, siamo alla fame per tanti). Evidentemente si tratta di altri, di ladri che approfittano, spacciandosi per seguaci della formazione di Silvano, per compiere queste azioni ingiuste. Silvano non pone tempo di mezzo, riesce a individuare i responsabili, a raggiungerli e invece di giustiziarli (come si faceva abbastanza facilmente in quei momenti) vuole compiere un'azione dimostrativa: li obbliga a riconsegnare quanto hanno rubato ai contadini è una grave imprudenza: accettano. Sono precisati i termini della consegna. Un gruppo della formazione guidato da Silvano stesso li incontrerà a Montechiaro, vicino a casa Gabellino, con i ladri, che arriveranno con un carro agricolo carico di refurtiva nel pomeriggio del 29 luglio.

E’ un caldissimo giorno d'estate, la campagna sembra vuota e immobile: Silvano e i suoi, le giacche che coprono le armi che ormai portano sempre con sé, in bicicletta, accaldati, si ritrovano poco dopo il piccolo ponte detto di Cencino e si dirigono sulla strada che va verso Vinacciano. Silvano non è tranquillo, divide il gruppo composto di nove uomini: tre rimangono, prima del luogo d'incontro, su una collinetta coperta di pini di fronte al castelletto di Montechiaro, gli altri proseguono fino a casa Gabellino; lì rimangono in tre, Silvano compreso, sulla curva che forma la piccola strada bianca di polvere , al di sotto di un gruppo di robinie e di sterpi, subito dopo un campo di ulivi, vicino a una vecchia croce. Gli altri tre proseguono e si piazzano in un boschetto di pini che sovrasta la zona a qualche centinai di metri.

Silvano e gli altri due (Giuseppe Giulietti, Marcello Capecchi) appoggiano le biciclette, si seggono sul ciglio di un campo che prospetta a trecento metri silenziosa (sono le due di un pomeriggio di luglio) una casa colonica. Improvvisamente dal gruppo delle robinie sopra le loro teste, un rumore di sterpi, qualche urlo rauco, la sparatoria assordante. Sono comparse le figure nere della morte che sanno bene contro chi sparano. I tre giovani riescono a estrarre le pistole ma sono subito colpiti. Marcello colpisce un tedesco ma viene ferito a sua volta a un braccio: riuscirà a sfuggire alla cattura correndo, sanguinante, fra le piante, perché i tedeschi non scendono ancora sulla strada sorpresi della reazione. Lo faranno pochi minuti dopo mentre Silvano e Giuseppe, gravemente feriti, tentano di trascinarsi verso la casa: li raggiungono, li finiscono a colpi di mitra.

C'è di nuovo silenzio per pochi attimi. Poi la montagna comincia a partorire tedeschi e tedeschi. Si parla di cinquecento uomini. Cattureranno anche Brunello Bigini che verrà fucilato dopo due giorni. Inizia un grande rastrellamento che proseguirà tutta la notte: la campagna e le case vicine vengono setacciate, gli uomini giovani e vecchi portati via; la palestra sportiva di Piazza Mazzini sarà ben presto piena di prigionieri. Buona parte di loro finirà avviata in Germania. Di notte, in segreto, alcune mani pietose di donna seppelliranno nel campo i due giovani corpi rossi di sangue.

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La medaglia al valore alla memoria